L’UNITA’ – 18 novembre 2012

 

In un articolo pubblicato giovedì 15 novembre sul Sole 24 Ore abbiamo fatto osservare che nelle scorse settimane il Governo ha modificato radicalmente le previsioni sull’andamento del reddito nazionale e della finanza pubblica formulate  nel dicembre 2011 all’atto della presentazione della cosiddetta ‘manovra Salva Italia’. In particolare, rispetto alla previsione di una riduzione dello 0,4% del PIL, ora il Governo prevede per il 2012 una flessione del 2,4%, mentre per il 2013 prevede una ulteriore flessione dello 0,3% rispetto alla previsione di una lieve ripresa positiva.

 

Anche l’andamento del fabbisogno, la cui riduzione era l’obiettivo principale del decreto Salva Italia, sarà peggiore del previsto. Rispetto a un deficit tendenziale del 2,6%  del PIL nel 2012, la manovra correttiva puntava a fare scendere il deficit all’1,6% quest’anno ed a azzerarlo del tutto nel 2013. Ora il Governo indica che il deficit sarà dell’ordine del 2,5% (come il tendenziale senza la manovra), ma la Banca d’Italia ha scritto che ‘sarà difficile farlo scendere sotto il 3%’. Si allontana anche l’obiettivo del pareggio nel 2013, a meno naturalemente che non si faccia un’ulteriore manovra correttiva alla quale ha già accennato il solerte commissario europeo Olli Rehn.

 

È ovviamente comprensibile che vi siano progressivi aggiustamenti nelle previsioni macroeconomiche. Ma è, ci sembra, la prima volta in moltissimi anni che la revisione ha una portata così drammatica: 2 punti percentuali di differenza nell’andamento del reddito nazionale vogliono dire che lo scenario dell’economia è totalmente diverso dal previsto e, se si guarda al deficit tendenziale, che la medicina, pure se amarissima, non ha fatto quasi effetto.

 

Era dunque sbagliato l’obiettivo di ridurre il disavanzo pubblico che l’Europa ci chiede e sul quale l’Italia si è impegnata? No. È evidente che i Paesi che hanno deficit e debito pubblici elevati debbano trovare il modo di ridurli. Ma è altrettanto evidente che, come hanno sostenuto molti economisti in questi anni in Europa e nel mondo, è un’illusione pensare di aggredire il problema della finanza pubblica solo aumentando le tasse e tagliando le spese. Bisognava e bisogna stimolare la ripresa economica mentre si opera la correzione della finanza pubblica e quindi dosare molto saggiamente le politiche del cambio, la politica monetaria e le politiche di bilancio.

 

L’Europa ha scelto ed ha imposto la strada dei tagli di bilancio senza se e senza ma e ha ignorato volutamente le conseguenze negative di queste manovre sull’andamento del reddito nazionale e quindi  sulla loro stessa efficacia. Oggi a certificarlo sono le ricerche del Fondo Monetario Internazionale che mostrano che i paesi che hanno adottato le misure più drastiche di contenimento dei deficit pubblici sono anche quelli che hanno avuto gli scarti più ampi fra le previsioni e gli andamenti effettivi del reddito nazionale. Ma l’Europa per ora fa orecchi da mercante.

 

Tecnicamente si parla di ‘moltiplicatori fiscali’, cioè di stime di come si riflettono le riduzioni (o gli aumenti) del deficit sull’andamento del reddito nazionale. Se il moltiplicatore è basso – per 0,5 – allora si può correggere rapidamente il deficit senza troppe conseguenze sul reddito nazionale. E’ quello che pensava l’Europa e che hanno pensato il Governo Berlusconi prima e poi il Governo Monti. Ma se i moltiplicatori sono superiori a 1, per ridurre il deficit bisogna accettare una caduta imponente del reddito nazionale, come sta avvenendo in Grecia, in Portogallo, in Spagna e in Italia. Con il rischio che la manovra faccia cadere il reddito nazionale e faccia esplodere la disoccupazione, senza riuscire a incidere a sufficienza sui deficit pubblici.

 

La Banca Centrale Europea ha a suo modo fatto proprie alcune di queste preoccupazioni. Quando, parlando venerdi alla Bocconi, Mario Draghi ha sostenuto che conviene procedere  alle correzioni del deficit mediante i tagli della spesa improduttiva piuttosto che con gli aumenti delle imposte, evidentemente riconosce che la strada che l’Europa ha scelto è sbagliata. Ma a noi sembra che la tesi della BCE alimenti l’equivoco che sia possibile fare i tagli nella misura che l’Europa vuole, purché in altro modo. In termini macroeconomici è assolutamente dubbio che vi possa essere una differenza fra tagli di spesa e aumenti delle entrate. Se cade il reddito disponibile o perché lo Stato se ne prende una piu larga parte o perchè lo Stato fa minori pagamenti al resto dell’economia, le conseguenze sono essenzialmente analoghe. Ci sembra questo della BCE l’estremo tentativo di difendere politiche che le analisi del Fondo Monetario condannano senza remissioni.

 

Abbiamo scritto nell’articolo del Sole 24 Ore che l’Europa e l’Italia debbono cambiare strada prima che le conseguenze economiche, sociali e politiche si facciano drammatiche e aprano la strada ai populismi di chi ritiene che uscendo dall’Europa ci si possa salvare. Vi è una terza via fra accettare con rassegnazione la caduta del reddito nazionale e il promettere una palingenesi fuori dall’Europa. E’ la via che combina saggiamente la riduzione del debito pubblico attraverso la razionalizzazione della spesa, ma anche attraverso la cessione del patrimonio pubblico disponibile, con lo stimolo alla ripresa economica. E’ una  via che deve imboccare l’Europa, non l’Italia da sola, ma che l’Italia deve chiedere autorevolmente e seriamente a quell’Europa di cui siamo soci fondatori e di cui vogliamo continuare a fare parte.

 

 

Giorgio La Malfa
Piergiorgio Gawronski

 

 


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