“Cari amici,

la mia prima valutazione sui nuovi orientamenti americani è che sul terreno economico la cosa più probabile è una svalutazione del dollaro per incoraggiare il ritorno negli Stati Uniti di un pò di attività manifatturiera. Non penso invece a una guerra tariffaria che rischierebbe una serie di reazioni dei paesi colpiti.
La preoccupazione maggiore per me è la politica estera in senso proprio dove può succedere tutto, specialmente se Trump dovesse ripescare, come ho visto in qualche giornale, l’ala più conservatrice che influenzò Bush all’inizio del suo mandato: Bolton, Perle e così via. 
Comunque l’Europa sarà più sola sia sul terreno economico che sul terreno politico militare e probabilmnente questo la dividerà ancora di più”
– Giorgio La Malfa
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LA NUOVA GUERRA MONETARIA

La promessa principale sul terreno economico fatta da Donald Trump agli americani è di riportare a casa le attività industriali che nel tempo sono emigrate al Sud, verso il Messico e l’America e verso l’Asia, la Cina, la Thailandia, il Vietnam e l’India. Per farlo ha varie strade che potrebbe percorrere contemporaneamente. Di due ha parlato esplicitamente: di dazi e tariffe doganali e di sgravi fiscali; della terza, il valore esterno del dollaro, ha parlato meno ma è forse l’arma più potente che potrà impugnare.

Con dazi e tariffe doganali, Trump dovrà essere prudente, pur avendo larghi poteri presidenziali in questo campo. Ne ha parlato molto, ed è facile imporle ma vi è il rischio che i Paesi che subiscono queste azioni possano a loro volta usare le stesse armi: l’America si difenderebbe dalle importazioni, ma le sue esportazioni potrebbero trovarsi di fronte a molti ostacoli. C’è il rischio di guadagnare poco e perdere tutti. In aggiunta, o in alternativa, Trump potrà usare gli sgravi fiscali, ma, essendo il debito pubblico americano già molto alto e volendo anche ridurre le imposte sui redditi personali ed aumentare la spesa per le infrastrutture, il presidente non potrà largheggiare.

Gli rimane una terza strada: lasciar scivolare il tasso di cambio del dollaro. Potrà farlo verso le monete dell’Oriente in particolare verso lo yuan cinese, ma può darsi che lì nasca il primo vero contrasto di politica internazionale della sua presidenza e potrà farlo, con minori problemi, rispetto all’euro. Da quando Draghi ha iniziato il Quantitative Easing l’euro ha perso un buon 20% di valore rispetto al dollaro e da qui è venuto il modesto sollievo della congiuntura europea dell’ultimo anno.

Reagirà l’Europa, se questo avverrà? Forse reagirà, ma a ranghi sparsi.

Gli interessi dei Paesi dell’ eurozona sono molto diversi fra loro. La Germania ha un attivo di bilancia dei pagamenti così alto che potrebbe tranquillamente accettare un giuro rivalutato rispetto al dollaro. Oltretutto il tenore di vita dei propri cittadini migliorerebbe per il miglioramento delle ragioni di scambio fra i prodotti tedeschi e quelli americani. Altri Paesi, fra cui in prima linea il nostro, subirebbero un ulteriore effetto deflazionistico che renderebbe ancora più arduo raggiungere una qualche crescita positiva. Difficile che Trump accetti di discutere di questi argomenti in sede politica: dirà che si tratta di movimenti del mercato e non riconoscerà che il tasso di cambio è influenzato dalle politiche delle banche centrali, e che la banca centrale degli Stati Uniti risponde  o meglio sarà forzata a rispondere  agli orientamenti del nuovo governo.

Altrettanto vale per la Cina, ma non vale per l’Europa che non ha una voce politica unitaria, ma dovrebbe parlare attraverso un concerto di voci. Ma se il concerto, come si vede, non c’è l’Europa tace o parla con la voce del più forte. Questo è, nelle sue linee essenziali, il quadro. Ad una situazione già molto difficile in Europa si aggiunge ora una presidenza americana decisa a mettere gli interessi dell’America al primo posto. Forse l’elezione di Donald Trump segna davvero la fine del periodo apertosi all’indomani della seconda guerra mondiale quando l’America, acquisito il ruolo di potenza egemone nel mondo, fu anche disposta ad affrontare i costi che accompagnavano l’esercizio di quella leadership. Dall’Europa si è già allontanata l’Inghilterra, ora si allontanano, con consegidenze ovviamente enormemente maggiori, gli Stati Uniti.

L’Europa è più sola e reagirà senza unità e senza una visione comune. E ciascun Paese dovrà guardare con molta attenzione alla sua condizione e alle sue prospettive.

 


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