Un senso di sollievo attraversa e caratterizza la lunga intervista che Mario Draghi, a metà del suo mandato come Presidente della Banca Centrale Europea, ha concesso al Sole 24 Ore. Quando il 24 giugno del 2011 Draghi venne chiamato dal Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo alla guida della Bee, la situazione economica dell’ euroarea era molto difficile e sulla moneta unica si addensavano nuvole minacciose.

Pochi mesi dopo, la crisi greca (non la più recente, ma la precedente) scatenò una tempesta finanziaria intorno ali’ euro che sembrò preludere al disfacimento della moneta unica. In quella circostanza, Draghi trovò le parole giuste per stabilizzare le aspettative dei mercati. «La Bee – disse seccamente in una conferenza stampa – è determinata a fare tutto quello che possa essere necessario – whatever it takes – per salvare l’euro. E credetemi – aggiunse – questo sarà sufficiente ».

Oggi la situazione dell’euro appare più solida. «Il rischio di frammentazione e di ridenominazione (la parola un po’ ermetica che Draghi usa per definire l’uscita di qualche paese dall’euro), è diminuito di molto» anche se saggiamente ammette che il pericolo non è scomparso del tutto. La Bee – spiega Draghi – è orientata a promuovere il ritorno a una crescita più soddisfacente nell’area dell’euro con tutti gli strumenti monetari disponibili e se quelli già in essere non saranno sufficenti, essa, fin dalla prossima riunione del Consiglio Direttivo di dicembre, è pronta ad adottarne di nuovi.

In effetti, forte di un’autorevolezza conquistata sul campo giorno dopo giorno, Draghi ha certamente modificato profondamente la fisosofia della Banca Centrale Europea rispetto ai suoi due predecessori, Duisenberg e Trichet, che si erano conformati totalmente alla linea più conservatrice tenacemente sostenuta dalla Germania. Ha ripetutamente abbassato i tassi dell’interesse ed ha lanciato una serie di operazioni di espansione monetaria per cercare di forzare la ripresa economica. Il suo risultato più importante è il Quantitative Easing, cioè il programma di acquisto di titoli pubblici lanciato all’inizio di quest’anno che ha certamente concorso alla flessione del corso dell’euro sui mercati dei cambi ed ha consentito la ripresa delle esportazioni europee che sta aiutando la ripresa.

E tuttavia, di fronte alla constatazione che l’area dell’euro cresce assai poco ed assai meno, ad esempio, degli Stati Uniti dove la disoccupazione è scesa ormai al 5%, è legittimo chiedersi e chiedere a Draghi se si poteva e si doveva fare di più. Incalzato dalle domande del giornale, Draghi difende l’operato della Bee: «Complessivamente il Consiglio si è mosso sulla base delle informazioni via via disponibili», né obiettivamente ci si può aspettare che dica qualcosa di diverso. In realtà, questo è il vero punto debole della posizione della Bee, perché l’aumento dei prezzi rimane ancora molto lontano da quel 2% di aumento annuale che la stessa Bee considera soddisfacente e perché è inaccettabile che nell’area dell’euro vi siano ancora oggi 20 milioni di disoccupati.

Difficile dire se si potesse fare di più con gli strumenti monetari, non solo per le resistenze tedesche, ma anche per gli obiettivi limiti della politica monetaria in situazioni di forte deflazione. È chiaro, come ho scritto molte volte su questo giornale, che quando…

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