Cari amici,

per quanto non inattesa, la decisione della BCE di cominciare a ridurre il programma di Quantitative Easing non sarà, come del resto è evidente, privo di conseguenze. L’Italia dovrebbe riflettere seriamente su questi temi, ma certo l’avvicinarsi delle elezioni e il clima politico di questi tempi non favoriscono questo esame. Ilo rischio è di ‘svegliarci’ a metà del 2018 in una situazione economica  più difficile e magari con degli accordi fra Francia e Germania sul cosiddetto ‘passo in vanti’ dell’UME tali da penalizzare fortemente il n ostro sistema bancario.
Giorgio La Malfa
Articolo
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Un mese fa Mario Draghi annunziò che a partire dalla riunione del Consiglio direttivo di ottobre (che si è svolto stamani), la Banca Centrale Europea avrebbe iniziato a discutere della conclusione del programma straordinario di acquisti di titoli – il cosiddetto Quantitative Easing – che ebbe inizio nel gennaio del 2015. Ottobre è venuto e sono venute le decisioni della Bce. Noi, in Italia, avremmo bisogno di concentrare tutta la nostra attenzione su come fare per evitare di subire le conseguenze di un ritorno alla cosiddetta normalità monetaria che la riunione della Bce ha cominciato a delineare.

Il clima di una campagna elettorale che praticamente è iniziata ieri con l’approvazione della nuova legge elettorale non favorisce certo un esame di questo genere. Ma, se non ci prepariamo per tempo, rischiamo di trovarci a metà dell’anno prossimo, dopo le elezioni e con i primi passi di un governo appena insediato, con un problema di debito pubblico che non sapremo come affrontare.

Che cosa ha annunciato ieri la Bce? Ha annunziato che mentre pensa e spera di mantenere ancora al lungo i tassi di interesse ai livelli attuali, essa ha deciso di ridurre drasticamente, a partire dal prossimo mese di gennaio, gli acquisti di titoli pubblici che hanno certamente favorito in questi anni la discesa dei tassi di interesse. In particolare la decisione della Bce è quella di dimezzare gli acquisti, da 60 cioè a 30 miliardi di euro al mese. Ha inoltre aggiunto che questa decisione vale per il periodo fra gennaio e settembre del 2018; dopo di che si vedrà. È chiaro che il senso della posizione della Bce è che, se la situazione economica non mostrerà un peggioramento che attualmente non è previsto da alcuno, a settembre del 2018 vi sarà una ulteriore riduzione, se non la eliminazione del Quantitative Easing. Resterebbero in quel caso soltanto i reinvestimenti dei titoli in scadenza, ma si tratterebbe di cifre nell’ordine – ha detto il vice presidente della Bce Constancio – di qualche miliardo di euro.

Quali saranno le conseguenze della fine del Quantitative Easing? Essenzialmente saranno due, opposte a quelle che si determinarono nel 2015 al momento della sua introduzione: i tassi di interesse tende- ranno a salire e l’euro tenderà a rivalutarsi sui mercati internazionali delle valute.

In realtà l’effetto più positivo della politica monetaria di Draghi di questi anni è stata la svalutazione dell’euro che la Bce aveva lasciato salire coltivando la perniciosa idea che il prestigio di una moneta sia il suo alto valore sul mercato dei cambi ha fatto ripartire le esportazioni. La Germania, che pure era ed è stata contraria alla politica di Draghi e che l’ha subita malvolentieri, si è valsa della svalutazione dell’euro in maniera impressionante. Ma anche per l’italia, il QE è stato determinante, perché di fronte a una crisi di fiducia generalizzata e di politiche di bilancio restrittive alle quali i governi di questi anni si sono piegati, è stato l’effetto della svalutazione dell’euro sulle esportazioni a far muovere verso l’alto, per la prima volta dopo molti anni, gli indicatori statistici.

La Germania, che già all’inizio si opponeva per ragioni sostanzialmente ideologiche all’idea di una politica monetaria generosa, oggi non solo non ne ha più bisogno, ma addirittura la teme per le potenziali conseguenze finanziarie. Ha raggiunto da tempo la piena occupazione. Non ha bisogno alcuno di un euro svalutato. Può benissimo accettare un euro in crescita rispetto al dollaro sapendo che questo alimenta i profitti delle sue imprese e tiene bassa l’inflazione.

Per l’italia, dove la ripresa è molto più debole e la disoccupazione più che doppia che in Germania, un euro forte significa rischiare di spegnere i segnali di ripresa. In più – e questo è il nostro speciale problema – se la fine del quantitative easing vorrà dire, come è inevitabile che sia – quali che siano le dichiarazioni della Bce – un aumento dei tassi di interesse, noi ci possiamo trovare con un problema di debito pubblico di difficile soluzione, stretti come siamo dalle regole di bilancio europee.

C’è anche, contemporaneamente a questi avvenimenti che riguardano la politica monetaria, la pressione tedesca per discriminare le banche che abbiamo nei loro portafoglio molti titoli di Stato del proprio Paese e ci sono anche i discorsi, con i quali Schauble si è congedato dal ministero delle finanze sul fatto che bisogna prendere atto che gli stati possono essere dichiarati inadempienti nel loro debito pubblico e costretti a ristrutturarlo.

La domanda che l’italia si deve fare è quindi la seguente: quale politica intendiamo fare in presenza di una Banca Centrale che ritorna all’ortodossia monetaria e quindi di tassi di interesse che tendono a crescere e di un tasso di cambio dell’euro che tende a rivalutarsi sui mercati dei cambi? Questi sono i problemi. Le risposte dovrebbero venire dagli schieramenti che si preparano alla campagna elettorale.

 


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