Cari amici,
ho risposto a un articolo apparso sul 24 Ore di due economisti (uno dei quali è anche un parlamentare di maggioranza) che esprimono preoccupazioni per la situazione e le prospettive del debito pubblico italiano. I due autori polemizzano, in tono un po’ troppo superficiali, con varie proposte in circolazione, ma dimenticano di dire ai lettori se ritengono che l’Italia abbia fatto in questi anni e stia facendo una politica giusta. In tutta questa legislatura il rapporto debito pubblico-PIL ha continuato ad aumentare. Dunque, ci siamo avvicinati e ci stiamo avvicinando alla crisi del debito pubblico che temono i due autori.

Ma se è così, il primo punto da chiarire è che cosa farebbero in questa situazione i due autori. Il silenzio su questo punto è un caso ulteriore di rimozione del problema del debito pubblico, oltre a quelli da loro enumerati.

Con viva cordialità
Giorgio La Malfa

Caro direttore,
Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli scrivono sul Sole 24 Ore del 29 agosto che nel dibattito pubblico italiano vi è una sostanziale rimozione del problema costituito dal nostro debito pubblico. Parlano del costo che una crisi del debito rischierebbe di infliggere alla generalità dei risparmiatori italiani e giustamente osservano che la fine, o anche solo l’attenuazione, del cosiddetto Quantitative easing della Bce è destinata ad aggravare fin dai prossimi mesi la situazione della finanza pubblica. Come non essere d’accordo sul fatto che in vista delle prossime elezioni politiche di queste cose bisognerebbe parlare molto seriamente?

Ma se lo si fa, oltre a discutere in tono un po’ liquidatorio, di alcune delle proposte che sono state avanzate in questi giorni, non si può non partire da un esame dell’impostazione seguita dai governiin questa legislatura e da un bilancio dagli esiti che quelle politiche hanno prodotto. Bisogna cioè chiedersi se oggi siamo o no sulla strada giusta. Di questo Codogno e Galli non parlanoesplicitamente, anche se si direbbe che, citando una frase del ministro dell’Economia secondo cui l’Italia starebbe percorrendo “un sentiero stretto”, essi ne condividano la posizione.
In realtà i dati mostrano che l’Italia non è affatto sulla strada giusta. Lo si vede dal fatto che il rapporto fra il debito e il reddito nazionale in questi anni è progressivamente peggiorato. Esso era pari a 129 nel 2013 ed è salito al 131,8 nel 2014, al 132,1 nel 2015 ed al 132,6 nel 2016. Dunque, il peso (e il rischio) del debito pubblico si è accresciuto e ciò pure in presenza delle condizioni favorevoli sui tassi di interesse generati dal Qe della Bee che stanno pervenir meno. La politica del sentiero stretto non ha funzionato e bisogna chiedersene il perché.
La risposta è che il tentativo di conciliare il sostegno alla ripresa economica con la riduzione del rapporto debito-Pil (il sentiero stretto) non ha funzionato, perché la ripresa non è stata abbastanza forte per assumere una dimensione significativa, mentre il deficit annuale è rimasto troppo elevato per consentire una riduzione del rapporto debito-Pil. Si sono fatte due mezze politiche, per non scegliere una strada più chiara.

Non vi è stato un sostegno alla ripresa proveniente dal bilancio pubblico, perché in questi anni il deficit è progressivamente diminuito (anche se in misura inferiore a quello che l’Europa avrebbe voluto). Di conseguenza la politica economica ha avuto un tono fondamentalmente restrittivo.
Crescendo poco il reddito, il deficit relativamente elevato ha fatto lievitare il rapporto debito-Pil. Vi è stato in sostanza un doppio fallimento.
In vista della prossima legislatura ed avendo presenti le peggiori condizioni di partenza e le meno favorevoli circostanze monetarie che prevarranno non si potrà evitare, ancora una volta, come è stato fatto in questi anni, di scegliere una politica economica.
Solo una crescita più forte consentirebbe di ridurre il rapporto debito-Pile tale crescita più forte richiederebbe, almeno per due anni, se non tre, un deficit superiore al 3% ( che peraltro potrebbe essere compensato con delle cessioni di attività patrimoniali).

Se questo viene ritenuto troppo rischioso date le condizioni attuali del debito pubblico, allora bisogna passare a una politica di vera compressione del deficit attraverso ulteriori tagli di spesa e maggiori entrate, affrontando il rischio di innescare una nuova recessione.
Io non sceglierei mai la seconda strada che rischierebbe di aumentare la disoccupazione e di non far scendere il deficit. Ma la vera scelta è fra queste due strade. Discutere delle ipotesi piuttosto approssimative avanzate dai 5 Stelle o da altri è un modo per evadere il punto vero della questione. L’articolo di Codogno e Galli è in sostanza l’avallo delle politiche segi.ùte in questi anni che non hanno portato alcun beneficio e che ci avvicinano alla crisi del debito pubblico.
Questa sarebbe la vera rimozione del problema dal dibattito pubblico.

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